La cucina tradizionale delle Marche e di Ascoli Piceno ha conquistato Milano. Tra ricette antiche e erbe aromatiche, un viaggio in 7 piatti icona dell’Osteria Ophis di Offida
22-07-2021 articolo per Identità Golose
Lo chef Daniele Citeroni Maurizi, patron dell’Osteria Ophis di Offida
Un grande amore per la cucina di tradizione, quella sincera che trae origine dalla saggezza popolare e dall’abilità delle nostre nonne. Lo chef Daniele Citeroni Maurizi, patron dell’Osteria Ophis – ha portato all’hub di Identità Golose Milano in via Romagnosi tutto il gusto delle Marche e di Ascoli Piceno in particolare.
Una grande scommessa la sua Osteria Ophis di Offida, aperto a 22 anni, dopo lo studio all’alberghiero e qualche esperienza locale. «Acquistare il ristorante è stata una scelta di impulso, ero giovanissimo e con poca esperienza: a pensarci ora, è stata una sana follia – racconta sorridendo lo chef Citeroni Maurizi-. La mia filosofia cucina parte dalla valorizzazione della cucina popolare, così bella e ricca di amore. Ogni giorno mi chiedo, perché fare il Pollo di Bresse e non ripensare, invece, quella magnifica fettina in padella che le nostre nonne facevano nel giorno della trebbiatura, esaltarla e farla diventare intrigante? Ogni singolo piatto tradizionale e regionale può trasformarsi in alta cucina se viene rivisto in chiave contemporanea, con metodi di cottura moderni, materie prime di pregio e un pizzico di creatività. Non serve guardare all’estero: abbiamo già tutto in casa».
Lo chef Daniele Citeroni Maurizi conlo chef EdoardoTraverso e ilteam di Identità Golose Milano
Con questo spirito ha portato all’hub di Identità Golose alcuni piatti iconici che raccontano la sua passione per le Marche. Il punto di partenza sono le erbe aromatiche, che lo chef coltiva in un appezzamento di terreno a poca distanza del ristorante, e gli ingredienti di piccoli produttori, che variano da 26 a 28 a seconda delle stagioni. «Andiamo a creare un circolo virtuoso attorno al ristorante, con tante persone che lavorano insieme a noi. Non c’è alta cucina senza i piccoli produttori, perché ciascun piatto avrebbe un sapore diverso se non partissi proprio da quelle materie prime. La tecnica da sola non basta: la casa si costruisce con fondamenta solide».
E, così ecco le verdure di Rasoterra, piccola azienda agricola creata da due ragazzi di origini milanesi, che hanno lasciato tutto per coltivare la terra. La famosa cipolla rossa di Pedaso, insieme a fagiolini, peperoni, carota e sedano, si trovano nella giardiniera fatta in casa dello chef. Poi c’è l’agnello di Traini, un minuscolo di ovini al pascolo, con circa 50 capi, che tutela il benessere animale in ogni fase dell’allevamento. Tutto condito con le erbe dello chef, 400 metri per 26 specie di erbe spontanei e fiori, dai ciclamini alle rose, fino ai fiori di cerchia, insieme a bietola selvatica, asparago di mare, maggiorana, origano, taggese e lilla, erba mentolata e vicina al limone.
Lo chef è un amante delle erbe aromatiche e spontanee che raccoglie personalmente
«Siamo portavaoce del nostro olio locale prodotto con la Tenera Ascolana, che sa di erba appena tagliata, carciofo e pomodoro verde, con apostrofi di piccantezza a seconda del momento della raccolta – spiega lo chef Citeroni Maurizi-. C’è anche il Piantone di Falerone, della provincia tra Ascoli e Fermo, dal sentore più dolce e con un prato più floreale, di solito l’oliva si raccoglie precocemente per ottenere una più accentuata piccantezza».
«Giorno dopo giorno, il pensiero è sempre lo stesso: come migliorare ciò che già abbiamo nella nostra cultura gastronomica territoriale, dimostrare quanta dignità c’era nella cucina delle nonne e come portarla nell’oggi, seguendo le nuove esigenze dei nostri ospiti».
Lo chef ha anche un tatuaggio che recita: «Non si cucina solo col sale», come a dire che non basta l’ultimo tocco, è il percorso, dalla terra alla tavola, passando per il rispetto delle tradizioni e delle persone, a fare la differenza. Il percorso gastronomico che lo chef ha presentato a Identità Golose Milano è la perfetta incarnazione di questo pensiero. Venite a scoprire i 5 piatti icona dello chef Daniele Citteroni Maurizi dell’Osteria Ophis di Offida.
1. Il pancotto che diventa tombolo
Un antipasto diviso in tre. Il pancotto che diventa tombolo è un lavoro sul recupero del pane. Nella versione tradizionale del pancotto, il pane avanzato viene ammollato in sugo di pomodoro con un po’ di cipolla, aromatizzato alle erbe. I più ricchi rompevano un uovo sopra. Lo chef Citeroni Maurizi non si limita a bagnare il pane ma lo cuoce direttamente nel pomodoro con tante erbe aromatiche e un po’ di pasta di sgombro a dare gusto e sapidità. Il pancotto si fa raffreddare e si compongono delle crocchette che vengono irate nel pane grattugiato grosso, per un ennesimo recupero. Le crocchette sono poggiate sulla prebenna, una sorta di cavalletto dove le donne creavano i magnifici pizzi al tombolo. Parte esterna croccante e interno morbido della zuppa, per uno starter interessante e aromatico
2. La frittata in trippa
La frittata in trippa è uno dei piatti tipici più poveri della zona di Ascoli Piceno. Si parte da un classico sugo di pomodoro, ma al posto della trippa, vengono tuffate delle striscioline di frittata. Lo chef propone una frittata molto gonfia, che assorbe il succo del pomodoro, condito con maggiorana e origano del suo orto, La parte croccante è data dalle cialde di pecorino che servono anche per mangiare la “trippa di frittata” senza sporcarsi.
3. Il cracker della nonna
In tutte le case mamme e nonne erano solite preparare, insieme al grissino col prosciutto, un crostino con burro, acciughina salata, foglia di prezzemolo, cappero e rondella di carota. Lo chef ripensa la tradizione con due cracker fatti in casa a base di segale e farro, intensi nel gusto, farciti con emulsione di burro e sgombro salato. A guarnire, sedano cappero e carota che però si trasformano in polvere
4. Galantina e giardiniera
Il piatto della festa, da 21 anni in carta da Osteria Ophis. La galantina, cioè la gallina farcita, viene studiata perché risulti sempre più succulenta e morbida. Un lavoro sulla tecnica e sull’aggiunta di erbe e spezie per arricchire il gusto del ripieno. Secondo la ricetta tradizionale, la gallina vecchia viene disossata e farcita con il petto macinato di gallina, Parmigiano, oliva tenera ascolana, sedano e carota, uovo sodo, quasi come un polpettone. A Natale si aggiungeva il tartufo nero. La gallina ripiena veniva arrotolata in un canovaccio e lessata in brodo con ossa di vitello per dare sapore. Cuoceva per 2 ore e le ossa del vitello rilasciavano nell’acqua il collagene, creando una gelatina. Si serviva con una giardinera semplicissima di verdure. Anche qui lo chef Citeroni Maurizi riscrive la tradizione, aggiungendo al ripieno curry e paprika per dare una spinta in più alla carne bianca, mandorle, noci, e pistacchi. La gallina viene legata nella carta forno e cotta a 150 gradi al 100% di vapore per in modo che le sue carni restino succulente. La gelatina viene fatta con le carcasse delle galline e con brodo ristretto al 70%, in chiave antispreco. La giardiniera viene composta cuocendo singolarmente le verdure, per rispettarle al massimo, aromatizzandole con cardamomo, coriandolo, semi di senape. Non manca la Cipolla rossa di Pedaso, aggiunta per ultima, che tinge di rosso la giardiniera. Si finisce il piatto con due maionesi vegetali, a base di tuorlo sodo e olio extravergine: una con limone e patate, l’altra con aceto di lampone e rapa rossa. Si finisce col succo della giardiniera, portato a riduzione, a dare un’ulteriore parte acidità. In questo piatto si trova la dolcezza della carne gallina e della frutta secca, la sapidità della gelatina, le parti acide e vegetali della giardiniera. Ciascun gusto si riconosce, e il finale cremoso aiuta la masticazione.
In abbinamento al piatto,Berlucchi ’61 Nature DOCG e Ruinart Blanc de Blancs AOC.
5. La pasta col nostro raccolto: pasta cortissima da cucchiaio condita con una crema di bietole selvatiche, i suoi gambi marinati e sopra insalata di aromatiche
Verde in tutte le sue tonalità. «Qui si parte dal mio orto e dalla conoscenza delle erbe aromatiche e della loro stagionalità – spiega lo chef Daniele Citeroni Maurizi -. Utilizzo un formato di pasta piccolo per creare una pasta risottata. Si parte da un estratto di bietola selvatica, fogliame scottato e passato in estrattore, in cui finisce di cuocere la pasta. I gambi bianchi della bietola sono marinati sottovuoto con l’aceto di riso e tante tipologie di erbe aromatiche e diventano una brunoise che dà una parte acida e croccante al piatto». Alla fine, l’ospite rovescia sul piatto il bicchierino di erbe aromatiche fresche. Andando col cucchiaio si trova ogni volta un’erba diversa per una tavolozza aromatica complessa e sempre divertente. In abbinamento Soave Allegrini DOC .
6. Agnello in salmì: agnello della Marca scottato sul lardo, condito con il salmì tipico in due modi, il suo fondo e contorni Lamb “in salmì”
Agnello in salmì: agnello della Marca scottato sul lardo, condito con il salmì tipico in due modi, il suo fondo e contorni Lamb “in salmì”
Il salmì è un insaporitore “delle nonne” fatto con un mix di peperoni sottaceto, tonno sottolio, acciughe salate capperi salati, prezzemolo olio e aceto, battuti forte al coltello e cotti in pentola con olio e aceto fino a creare una salsa. Era il condimento tipico per agnello, cinghiale e coniglio, la parte acida dei secondi di carne. Lo chef sceglie di usare l’agnello al 100%, in ogni sua parte. Viene disossato atto e fatto a tranci, poi cotto sottovuoto con strutto ed erbe aromatiche per 9 ore per rendere lombo, spalla e coscia uniform i nella cottura. Si formano dei lingottini, che vengono rosolati in padella con strutto e glassatura di fondo delle ossa. Il salmì entra in gioco sia in polvere che in crema, per un effetto meno sapido e più avvolgente, senza coprire la carne. Il “gioco del salmì” viene gestito dal commensale in modo che possa dosarne la sapidità.
In abbinamento,Montepulciano d’Abruzzo Di Sipio.
7. Come un funghetto offidano
«Ad Offida abbiamo uno dei dolci più antichi della storia – spiega lo chef Daniele Citeroni Maurizi -. A fine pasto, nelle case offidane si serviva sempre un dolce secco, piccole sfere a base di farina, anice, zucchero e acqua, passate al forno per qualche minuto. Lo zucchero caramella col calore e in cottura “esplode” dando alla sfera una forma simile al fungo». Lo chef ripensa il dolce antico come una semisfera di meringa, a ricreare la consistenza tradizionale, fondente all’interno. La semisfera è farcita con crema all’anice, per conservare la parte aromatica classica.
In abbinamento, Pastis, cocktail a base di Belvedere Vodka, liquore all’anice, soda e liquirizia.