Matteo Baronetto: lo stile enigmatico di un cuoco a Torino

Ci sono cuochi allegri ed espansivi, che racconterebbero della loro cucina per ore ed ore.

Enigmatico. Non è facile da capire, Matteo Baronetto. Non è una di quelle persone che inquadri subito.

Baronetto è come se fosse “schermato”. Come se ti dicesse: “Per capirmi davvero, un po’ di fatica la devi fare”. Ciò che arriva subito è la sensazione di sicurezza che comunica con ogni suo gesto. Ma attenzione, non è una sicurezza boriosa, è più un tipo di tranquillità conquistata con il duro lavoro. 

Superata la prima impressione, e dopo qualche minuto di conversazione, inizi a capire la sua vera natura, la profondità che caratterizza i suoi ragionamenti. Parla in modo diretto, guardandoti dritto negli occhi. Non si dilunga in spiegazioni eccessive, va dritto al punto.

La sua è una sicurezza senza presunzione. In fondo, come dice lui con disarmante semplicità: “Faccio questi lavoro da trent’anni”.

Baronetto è una di quelle persone che sa essere elegante anche con le scarpe da ginnastica.
Non ha bisogno di esagerare. Non ha bisogno di sbandierare il passato: gli interessa quello che sta facendo e quello che farà. 

Non si “gonfia” per gli passati da Marchesi o a fianco di Carlo Cracco. Anche perché ormai la sua personalità è evoluta in qualcosa di unico.

Baronetto è un cuoco che va scoperto pian piano. Le braci della passione si trovano un poco oltre la facciata. Quella fatica di scoprirlo va fatta.

Solo così vedrete che si illumina quando parla di momenti piccoli, ad esempio quando racconta delle sue prime esperienze. “Ho lavorato come lavapiatti in un ristorante del mio paese, poi il cuoco si fece male giocando a calcetto e la proprietaria mi chiese se potevo aiutarla in cucina. Lì capii subito che questo lavoro mi piaceva sul serio”. Oppure quando ricorda della volta in cui Gualtiero Marchesi all’Albereta gli chiese di aiutarlo a scegliere i piatti per il servizio della sera: “Ero l’ultimo arrivato eppure mi diede attenzione, fu un momento emozionante, per me che ero alle prime armi”.

Lo chef stellato Matteo Baronetto, ristorante Del Cambio di Torino – credit: OnStage Studio

I suoi modi sono simili alla sua cucinatanto pensiero dietro, ma essenziali nel risultato. Come la sua trigliapesce elegante per eccellenza, condita con una fettina sottilissima di testina di vitello trattata come una fetta di lardo che si scioglie con il calore del pesce. Ingredienti elitari e semplici convivono e diventano assonanti. O come le olive taggiasche che, nel piatto,diventano cromaticamente identiche alle amarene sciroppate. Mangi e dici: “Non ci avrei mai pensato a questo abbinamento, buono però…”. E’ una semplicità fatta di retroscena complessi. Ma anche qui, Baronetto non viene a raccontarti le ore di studio, i tempi lunghi di ideazione e preparazione. Se vuoi lo puoi intuire, se non vuoi, non è necessario, puoi mangiare e basta, godendo di ciò che ha cucinato.

I suoi piatti sono precisi e perfetti, ma non sono freddi. In fondo, sono proprio come lui. 

Venite a scoprire i 5 piatti icona di Matteo Baronetto, che potrete assaggiare fino a sabato 2 giugno all’Hub internazionale di cucina di Identità Golose.

NIGHIRI, LARDO, ZAFFERANO E SALSA ITALIANA

credit: OnStage Studio

Un po’ di Giappone, un po’ di Milano, un po’ di Piemonte. Abbiamo detto che Baronetto è enigmatico, giusto? Ed ecco che, anche nei piatti, instaura un gioco con il cliente seduto al tavolo. Ciò che sembra non è, e ne rimani stupito. Questo antipasto sembra un nighiri – preparazione giapponese a base di una “polpettina” ovale di riso ricoperta da una fetta sottile di pesce crudo – ma in realtà è composto da un trito di lardo salato, a ricordare i chicchi di riso ma di tradizione piemontese, sovrastato da un “foglio” a base di riso alla milanese con lo zafferano, stracotto, steso in uno strato sottile e reso croccante in forno. Un inizio divertente che fa presagire un percorso gastronomico fuori dagli schemi.

UOVO CALAMARO E BASILICO, POMODORI E KIWI

credit: OnStage Studio

Continuano i gioci di consistenze, di assonanze, di similitudini. Continuano gli enigmi e le scoperte. Continuano le commistioni tra Italia e Oriente. L’uovo già sodo viene messo immerso in carpione a ricordare le “uova centenarie” cinesi. In questo modo la consistenza dell’uovo diventa ancora più soda e tenace. Il tuorlo viene estratto e l’albume viene tagliato ad anelli e mischiato delicatamente con anelli di calamaro cotti a vapore, così che non riesci più a distinguerli con la vista ma solo al palato. Il tutto viene condito con un pesto classico preparato con poco aglio, per non sovrastare i sapori delicati di albume sodo e calamaro. A parte, viene servita una insalata che gioca con sapori e acidità a base di due ingredienti: pomodori in osmosi sottovuoto, con un po’ di sale, per accentuarne la parte acida, e kiwi in osmosi, con un pizzico di zucchero per accentuarne la parte dolce. Ogni piatto si conferma un percorso di scoperta che richiede la “collaborazione” attiva del cliente.

RAVIOLO DI PROSCIUTTO IN GELATINA, OLIVE, AMARENE E RAFANO

credit: OnStage Studio

Ricordate quegli involtini di prosciutto ripieni di salsa tonnata o maionese ricoperti di gelatina che si trovavano sempre nelle gastronomie degli anni Ottanta? Qui il gioco di Baronetto è trasformarli in un primo piatto gourmet. E lo chef ce la fa con un Raviolo a forma di bottone ripieno di paté di prosciutto, che viene cotto a vapore per 5 minuti, fatto raffreddare e messo in gelatina. Alla base, una maionese morbida con rafano per una nota piccante e un ricordo di Oriente. E anche in questo piatto, si gioca! Le amarene sciroppate, dolci e asprigne allos tesso tempo, sono cromaticamente identiche alle olive taggiasche, saporite e sapide. L’enigma si risolve assaggiando.

TRIGLIA, TESTINA DI VITELLO, PATATA ALLE NOCCIOLE E PREZZEMOLO 

credit: OnStage Studio

Idea di un bollito con un outsider: la triglia. I filetti di triglia vengono cotti velocemente sotto la salamandra, per rispettare la consistenza e il sapore dolce delle carni. Sopra viene messa una fettina sottilissima di testina, “trattata” come se fosse lardo. La stessa consistenza grassa e scioglievole si ottiene così: la testina si cuoce a lungo fino a che non si disfa, poi la si “avvolge” su se stessa nella carta da forno e si fa raffreddare. Si affetta come un salume e la grande quantità di collagene farà sì che la testina si sciolga come lardo a contatto con il calore della triglia. 

In accompagnamento, un disco di patata condita con olio di nocciole piemontesi cotto in forno per 50 minuti fino a diventare croccante.

C’è anche il prezzemolo, tipico della salsa verde per il bollito, ma qui viene sfogliato, fatto bollire, raffreddato in acqua e ghiaccio in modo che resti verde brillante, e, infine, centrifugato, “salvandone” solo la parte fibrosa.

Anche se a prima vista non si direbbe, ci sono tutti i sapori primari del bollito, tralasciando le acciughe.

CRÈME CARAMEL E SORBETTO AL POMPELMO

credit: OnStage Studio

Un dolce che, a prima vista, ricorda la versione tradizionale ma se ne allontana per eleganza. Viene preparato un Crème caramel classico – a base di uova, latte, vaniglia – cotto vapore per 10 minuti e raffreddato. La salsa al caramello – di solito versata abbondantemente sopra il dolce, rendendolo “stucchevole” e sbilanciato – qui diventa l’anima esterna e sottile che ricopre il dolce. Il Crème caramel, infatti, viene velocemente immerso nella salsa e poi “scolato” in modo da eliminare gli eccessi. Per dare freschezza, e allungare il piacevole gusto amarognolo del caramello, Baronetto lo accompagna con un sorbetto al pompelmo.